Pagine

domenica 6 novembre 2011

A Silvia di Giacomo Leopardi

Ecco a voi il testo di A Silvia letto dalla mirabile voce di Gassman!



Il poeta si ispira a Teresa, ricordandosi di quando la sentiva cantare in quello stesso periodo primaverile e con quel canto lei esprimeva la sua fiducia nell'avvenire; così adesso lui, nello stesso periodo primaverile, con questa nuova poesia si sente risorgere a nuova vita, dopo l'inaridimento poetico, come scrive subito dopo alla sorella Paolina, nella lettera del 2 maggio:
« Dopo due anni, ho fatto dei versi quest'aprile; ma versi veramente all'antica, e con quel mio cuore di una volta »
Le due figure, Silvia e il poeta, sono accomunate dalla dolce stagione della giovinezza, delle illusioni, della fiducia in un futuro "vago", ovvero indeterminato e insieme attraente. Ma era passato tanto tempo da quella primavera, e ora il Leopardi trasfigura Teresa in Silvia, (con il nome della protagonista dell'Aminta del Tasso), cioè nel simbolo di una fanciulla che nel pieno sviluppo della sua vita viene stroncata dalla morte. La morte fisica di Silvia richiama la morte di ogni speranza che per l'io lirico sopravviene con l' apparir del vero. La Natura inganna i suoi figli per poi abbandonarli alla disillusione.[2] Come scrive Ugo Dotti:
« Teresa Fattorini, trasfigurata in Silvia, è divenuta il simbolo eterno di questo duplice volto dell'esistenza, quello della promessa e quello del disinganno. Il Leopardi ha congiunto alla purezza e felicità di Teresa i pensieri della sventura e del dolore, ha annegato l'apparente conquista dell'Altrove nella dura verità del reale, ha distrutto l'immagine lieta con quella dell'aspra morte. »
Anche Luigi Russo scrive:
« Con il ricordo di Silvia, e del tacito e vaghissimo amore fantasticato per lei, il poeta ricrea tutta la indefinita bellezza delle speranze e dei sogni che nutrirono la sua giovinezza: ora di essi non resta più nulla di fronte al silenzio e alla desolazione che la vita ha diffuso nel suo animo. »
Dunque il Leopardi, in questo aprile pisano, preso dal fervore creativo e dalla nuova linfa poetica, nella sua mente si rivolge direttamente a lei chiamandola per nome e subito la riporta al mese di maggio quando lei viveva e godeva delle speranze del futuro.
ANALISI METRICA
Si tratta di una canzone libera o leopardiana, composta da sei strofe di diversa lunghezza. Vi sono 27 versi privi di rima, gli altri rimano liberamente. L’ultimo verso di ogni strofa rima con uno dei versi precedenti ed è sempre un settenario. Gli enjambement sono presenti principalmente nell’ultima strofa e mettono in risalto le parole chiave, ma anche ai versi 7 e 8 per mettere in evidenza la parola “quiete”. I versi hanno un ritmo piuttosto lento, adatto a una poesia alquanto triste che parla della morte. Vi sono diverse assonanze: mortale - il limitare / core - chiome / rimembri – ridenti / sedevi – rimembri / sedevi – ridenti / avvenir – ridenti / avvenir – rimembri / avvenir – sedevi / avevi – rimembri / avevi – ridenti /avevi – avvenir / solevi – rimembri / solevi – ridenti / solevi – avvenir… e sono presenti anche delle consonanze: mortale – lieta (incrociata) / mortale – tela / tela – lieta (incrociata) / fato – fati…
Ricorre frequentemente al suono “vi” (nei versi 1-2-4-6-8-11-12-13-43-46-47-63). Nella poesia ci sono varie allitterazioni delle lettere: t (verso 2), l (verso 2), l (verso 10)… Vi sono delle anafore: che – che (versi 28-29), anche, la – anche, la (versi 49-50-51-52).

IL TESTO

Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?

Sonavan le quiete
stanze, e le vie d'intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.

Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?

Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore.

Anche perìa fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovinezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è il mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte delle umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano. 

Nessun commento:

Posta un commento